Prestazione energetica nell'edilizia: in primis riqualificare il parco immobiliare esistente
Si è svolta il 24 maggio c.m. l'audizione informale dell'ANCE presso la Commissione Politiche dell'Unione Europea del Senato nell'ambito dell'esame, per i profili di verifica del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, della Proposta di direttiva sulla rifusione della Direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia (EPBD) (COM (21) 802), , che fa parte del pacchetto di misure denominato "Fit for 55", per la riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030.
Il Vice Presidente Tecnologia e Innovazione, Fabio Sanfratello, che ha guidato la delegazione associativa, ha, in premessa, espresso condivisione per l'aggiornamento della Direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia (EPBD).
La proposta di aggiornamento della Direttiva EPBD presentata dalla Commissione europea il 15 dicembre scorso è finalizzata a dare un grande impulso sia a nuovi edifici a "zero emissioni" ma ancor di più a riqualificare il parco edilizio esistente.
L'effetto di tale proposta determinerà una forte spinta alla riqualificazione energetica degli edifici, ma vanno valutati gli effetti complessivi della nuova proposta, quantità e tempistica dei vari obblighi previsti anche dal pacchetto "Fit for 55", carbon tax sui combustibili per riscaldamento, obiettivi obbligatori di riduzione della CO2 per l'edilizia, assoggettamento dell'edilizia al sistema europeo di scambio di emissioni di CO2.
Il processo di decarbonizzazione previsto dalla Direttiva deve essere ben supportato da misure incentivanti, come sottolinea anche il documento europeo e come hanno ribadito i vertici europei nel corso della conferenza stampa di presentazione del 15 dicembre scorso, citando esplicitamente il modello del Superbonus italiano.
Resta, però, da valutare la fattibilità di un numero molto elevato di interventi da realizzare in un periodo limitato di tempo, entro il 2030, per raggiungere i target fissati dalla Direttiva.
Infatti, il patrimonio immobiliare italiano è molto-vecchio, per il 74,1% realizzato prima dell'entrata in vigore della normativa completa sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica. In pratica, su 12,2 milioni di edifici, oltre 9 milioni non sono in grado di garantire le performance energetiche, sia pur minime, richieste per gli edifici costruiti successivamente, e molto lontano dalle prestazioni minime richieste alle abitazioni dei nostri giorni.
Ciò si evince chiaramente dalla distribuzione delle prestazioni energetiche del patrimonio immobiliare italiano, che mostra una netta predominanza di edifici fortemente energivori: il monitoraggio Enea-CTI, relativo agli attestati di prestazione energetica (APE) emessi nel 2020, evidenzia, infatti, che, in media, ben il 75,4% degli attestati si riferisce a immobili ricadenti nelle classi E, F, G. Quest'ultima, in particolare, incide per oltre un terzo (35,3%).
Nel comparto residenziale, in particolare, tale distribuzione risulta ancora più estrema: il peso delle categorie più energivore (E, F, G) raggiunge, infatti, il 75%.
Ha quindi evidenziato l'importanza di intervenire sugli edifici per ridurre i consumi di energia e azzerare le emissioni di CO2, pertanto anche la revisione della Direttiva è un utile strumento per contribuire a raggiungere gli obiettivi climatici fissati, ma deve essere supportato da misure incentivanti e non può essere l'unico strumento da utilizzare per la decarbonizzazione dell'edilizia e degli edifici prevista per il 2050. La direttiva EPBD dovrebbe comunque mantenere il suo scopo di normativa quadro specifica per l'efficienza energetica degli edifici.
Il Vicepresidente è passato, quindi, ad illustrare in sintesi, le singole osservazioni e proposte, in merito al provvedimento in oggetto, volte a garantirne l'efficacia:
- prevedere che gli Stati membri continuino ad avere il potere decisionale di fissare i valori dei requisiti degli edifici a energia zero, stabiliti secondo il livello ottimale di costo, differenziandoli per gli edifici nuovi e per quelli esistenti e in base alle differenti zone climatiche di ciascun Paese, senza che vengano definiti univocamente a livello europeo;
- posticipare di almeno 3 anni l'obbligo per gli edifici di nuova costruzione affinché siano a emissioni zero;
- introdurre l'obbligo di riqualificazione energetica per gli edifici esistenti, a partire dagli edifici con le peggiori prestazioni, considerando che l'obiettivo prioritario è quello di ridurre il fabbisogno di energia, fissando requisiti calcolati con il metodo del livello ottimale di costo;
- in merito alla metodologia per il calcolo della prestazione energetica degli edifici, l'approccio basato sul "consumo di energia" è da contrastare in quanto l'uso dell'energia nell'immobile è solamente responsabilità dell'utente finale, in funzione dei suoi comportamenti e delle sue specifiche esigenze, e non legato alle caratteristiche proprie dell'edificio;
- posticipare di almeno 3 anni l'obbligo dell'introduzione della valutazione del GWP (potenziale di riscaldamento globale del ciclo di vita per i nuovi edifici). Si ribadisce la contrarietà all'eventuale introduzione di soglie massime di valori di CO2 valutati sull'intero ciclo di vita, fissate per i diversi tipi di edifici; serve un congruo periodo di tempo per sperimentare il calcolo del GWP ed avere valori indicativi delle tipologie edilizie nazionali;
- prevedere strumenti finanziari a favore delle imprese che realizzino interventi di efficienza energetica, non solo per gli utenti finali, al fine di rimuovere le barriere non economiche compresa la "divergenza di interessi" tra i diversi soggetti interessati;
- introdurre il possesso di adeguata qualificazione o certificazione in capo alle imprese esecutrici nel caso di interventi di ristrutturazione integrata;
- prevedere un adeguato periodo di tempo per l'entrata in vigore dei nuovi obblighi e definire un quadro normativo certo e duraturo considerando che le continue modifiche non consentono una pianificazione a lungo termine delle attività e creano instabilità nel mercato.
La proposta di aggiornamento della Direttiva EPBD presentata dalla Commissione europea il 15 dicembre scorso è finalizzata a dare un grande impulso sia a nuovi edifici a "zero emissioni" ma ancor di più a riqualificare il parco edilizio esistente.
L'effetto di tale proposta determinerà una forte spinta alla riqualificazione energetica degli edifici, ma vanno valutati gli effetti complessivi della nuova proposta, quantità e tempistica dei vari obblighi previsti anche dal pacchetto "Fit for 55", carbon tax sui combustibili per riscaldamento, obiettivi obbligatori di riduzione della CO2 per l'edilizia, assoggettamento dell'edilizia al sistema europeo di scambio di emissioni di CO2.
Il processo di decarbonizzazione previsto dalla Direttiva deve essere ben supportato da misure incentivanti, come sottolinea anche il documento europeo e come hanno ribadito i vertici europei nel corso della conferenza stampa di presentazione del 15 dicembre scorso, citando esplicitamente il modello del Superbonus italiano.
Resta, però, da valutare la fattibilità di un numero molto elevato di interventi da realizzare in un periodo limitato di tempo, entro il 2030, per raggiungere i target fissati dalla Direttiva.
Infatti, il patrimonio immobiliare italiano è molto-vecchio, per il 74,1% realizzato prima dell'entrata in vigore della normativa completa sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica. In pratica, su 12,2 milioni di edifici, oltre 9 milioni non sono in grado di garantire le performance energetiche, sia pur minime, richieste per gli edifici costruiti successivamente, e molto lontano dalle prestazioni minime richieste alle abitazioni dei nostri giorni.
Ciò si evince chiaramente dalla distribuzione delle prestazioni energetiche del patrimonio immobiliare italiano, che mostra una netta predominanza di edifici fortemente energivori: il monitoraggio Enea-CTI, relativo agli attestati di prestazione energetica (APE) emessi nel 2020, evidenzia, infatti, che, in media, ben il 75,4% degli attestati si riferisce a immobili ricadenti nelle classi E, F, G. Quest'ultima, in particolare, incide per oltre un terzo (35,3%).
Nel comparto residenziale, in particolare, tale distribuzione risulta ancora più estrema: il peso delle categorie più energivore (E, F, G) raggiunge, infatti, il 75%.
Ha quindi evidenziato l'importanza di intervenire sugli edifici per ridurre i consumi di energia e azzerare le emissioni di CO2, pertanto anche la revisione della Direttiva è un utile strumento per contribuire a raggiungere gli obiettivi climatici fissati, ma deve essere supportato da misure incentivanti e non può essere l'unico strumento da utilizzare per la decarbonizzazione dell'edilizia e degli edifici prevista per il 2050. La direttiva EPBD dovrebbe comunque mantenere il suo scopo di normativa quadro specifica per l'efficienza energetica degli edifici.
Il Vicepresidente è passato, quindi, ad illustrare in sintesi, le singole osservazioni e proposte, in merito al provvedimento in oggetto, volte a garantirne l'efficacia:
- prevedere che gli Stati membri continuino ad avere il potere decisionale di fissare i valori dei requisiti degli edifici a energia zero, stabiliti secondo il livello ottimale di costo, differenziandoli per gli edifici nuovi e per quelli esistenti e in base alle differenti zone climatiche di ciascun Paese, senza che vengano definiti univocamente a livello europeo;
- posticipare di almeno 3 anni l'obbligo per gli edifici di nuova costruzione affinché siano a emissioni zero;
- introdurre l'obbligo di riqualificazione energetica per gli edifici esistenti, a partire dagli edifici con le peggiori prestazioni, considerando che l'obiettivo prioritario è quello di ridurre il fabbisogno di energia, fissando requisiti calcolati con il metodo del livello ottimale di costo;
- in merito alla metodologia per il calcolo della prestazione energetica degli edifici, l'approccio basato sul "consumo di energia" è da contrastare in quanto l'uso dell'energia nell'immobile è solamente responsabilità dell'utente finale, in funzione dei suoi comportamenti e delle sue specifiche esigenze, e non legato alle caratteristiche proprie dell'edificio;
- posticipare di almeno 3 anni l'obbligo dell'introduzione della valutazione del GWP (potenziale di riscaldamento globale del ciclo di vita per i nuovi edifici). Si ribadisce la contrarietà all'eventuale introduzione di soglie massime di valori di CO2 valutati sull'intero ciclo di vita, fissate per i diversi tipi di edifici; serve un congruo periodo di tempo per sperimentare il calcolo del GWP ed avere valori indicativi delle tipologie edilizie nazionali;
- prevedere strumenti finanziari a favore delle imprese che realizzino interventi di efficienza energetica, non solo per gli utenti finali, al fine di rimuovere le barriere non economiche compresa la "divergenza di interessi" tra i diversi soggetti interessati;
- introdurre il possesso di adeguata qualificazione o certificazione in capo alle imprese esecutrici nel caso di interventi di ristrutturazione integrata;
- prevedere un adeguato periodo di tempo per l'entrata in vigore dei nuovi obblighi e definire un quadro normativo certo e duraturo considerando che le continue modifiche non consentono una pianificazione a lungo termine delle attività e creano instabilità nel mercato.
Settori: Cambiamento climatico
Parole chiave: Fit for 55
- CATF Clean Air Task Force
- Giuseppe Cantore, Professore Emerito di Macchine a Fluido e Sistemi per l'Energia e l'Ambiente, Dipartimento di Ingegneria, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
- Maria Gaeta
- Andrea Cogliolo
- Franco Del Manso
- Marco Papini
- Alberto Villa